Ogni voce una storia: Almaz di Semhal Tsegaye Abebe

29 Apr 2023

Ogni storia una voce è la rubrica in cui i black owned business si raccontano.
La rubrica per farteli conoscere e poterli supportare.

Presentati: chi sei e di cosa ti occupi? 

Mi chiamo Semhal Tsegaye Abebe, sono fondatrice, designer e manager a tutto tondo di Almaz textile design. Mi occupo part time di tutoraggio alla formazione a distanza per la Regione Toscana e mediazione culturale per varie cooperative toscane.
Ho una formazione in Pianificazione territoriale (Arch. UniFi) e un master in Marketing management (UniPi).

Come nasce la tua attività? 

La mia prima attività è stata trekNotes, che aveva la missione di promuovere i parchi naturali africani attraverso un curioso prodotto tascabile con un lato scrivibile (tipo diario di viaggio) e un lato con la cartografia tecnica ma illustrata. Dopo il lancio del primo prodotto “Mappa escursionistica dei Monti Simien Etiopia” che si può acquistare online o nelle principali librerie di viaggio europee, è arrivata la pandemia che ha chiaramente arrestato il turismo, quindi senza perdere tempo mi sono messa a fare quello che ho sempre voluto: disegnare e produrre le mie creazioni, con la volontà però di fare uno statement politico in un periodo storico in Italia dove il tema della diversità mi è sembrato regredire in termini di valori.

Purpose: perché fai quello che fai? 

Faccio quello che faccio per avere uno spazio dove ho il potere di migliorare alcune cose (sostegno della comunità di immigrati in Italia, fare da cassa di risonanza a tematiche che mi stanno a cuore).  Contrariamente alla sorte che è toccata a tanti della mia generazione qui in Italia (precariato, rincorrere persone che non ti pagano) sto pagando i collaboratori il giusto compenso e secondo i tempi pattuiti. Faccio quello che faccio perché i nostri talenti e sogni sono stati sfruttati da datori di lavoro incapaci di valorizzarli riconoscendo il giusto compenso, solo ora mi rendo conto di quanto avrei potuto dare in più se ne avessi avuto l’opportunità. In alcuni contesti lavorativi i pregiudizi e le pressioni o microaggressioni sono inibitorie e non permettono il pieno sviluppo del dipendente. Solo come esempio riporto una frase dettami da un imprenditore che cercava una figura per il reparto marketing full time ma a 500€/mese “vuoi aprire un’attività? Non ce la puoi fare, al massimo puoi fare la segretaria”. La narrativa rivolta a giovani donne nere come me è questa e quando hanno capito che si sono sbagliati è successo che mi abbiano ricontattata per chiedermi di mollare tutto e lavorare per loro con la promessa del tempo indeterminato. Chiaramente non ho accettato l’offerta di lavoro e ho aperto l’attività, ho clienti in tutta Europa e posso solo crescere. Sono convinta di poter fare di più, soprattutto riguardo alla tematica ambientale e ambisco a sviluppare un tipo di business che sia quasi completamente sostenibile in questo senso.

Cosa ti ha ispirata e continua a farlo? 

Mi ispirano le critiche, il continuo sminuire, la mancanza di diritti e tutele per alcune fette della popolazione, le disparità di trattamento, il patriarcato, il sessismo, il razzismo, il classismo, l’ipocrisia e quant’altro, sono il motore di rivalsa.
Mi ispirano le persone forti che partono dal nulla, con quello che hanno, le cenerentole del mondo, le persone incorruttibili, che rifiutano di vendersi. Mi ispira la bellezza della natura, il potenziale infinito della creatività, la bellezza dei tessuti africani e la storia dietro ai loro pattern e ai pattern nuovi che sto creando.

Come è stata in passato la tua esperienza nel campo che oggi costituisce la tua attività? 
Ho esperienza nell’ambito marketing e vendite, nell’e-commerce. La progettazione e creatività legati all’ambito della moda sono una passione che coltivo da quando ero bambina e finalmente hanno trovato sfogo. Ho una formazione presso l’University of Arts di Londra in Textile design e sto studiando in FAD per completare il ciclo di studi inerente al settore moda.

Cosa è per te un attività inclusiva? 
Un’attività inclusiva per me lo è di default, perché faccio parte di quelli “da includere” ed è solo naturale che la mia attività lo sia. Le persone sono persone e vanno valutate per quello che riescono ad apportare, la  qualità del loro lavoro e i loro valori stop.

Quanto i social media sono importanti e come hai deciso di usarli? 
Chiaramente i social media sono importanti soprattutto perché la TV o la radio non rispecchiano quasi per nulla la vera società nella sua complessità e ricchezza multiculturale, quindi sono la voce diretta dei giovanissimi e giovani che in qualche modo riescono ad avere una massa critica sufficiente almeno per sensibilizzare una parte della popolazione, per creare aggregazione e sostegno a diverse cause. Per quanto riguarda il business sono uno strumento più abbordabile per le attività promozionali e quindi vitali per le start up come Almaz.

Cosa significa per te essere audaci?
La definizione di audacia implica anche una dose di rischio e incertezza mista al coraggio, mi sento audace ma il rischio per me deve essere calcolato. Diciamo che 1 anno e 7 mesi di attività mi hanno abituata a fidarmi di me stessa, fidarmi veramente della mia capacità di valutare e agire.

Quanto ti senti audace e perché?
Mi sento audace, per persone come me (giovane, donna, africana, immigrata) in un contesto come quello italiano è necessario esserlo, perché molte porte sono chiuse prima ancora che tu possa aprire bocca, in alcuni casi ho dovuto avere la stima di europei di altri paesi per farmi aprire le porte qui, qui dove ho passato l’infanzia e ho fatto l’ università. Non ti viene dato credito se prima non dimostri quello che sai fare. Mentre a un maschio bianco vestito bene si parte intanto aprendogli la porta, poi si ascolta cosa ha da dire. È necessario essere audaci/bold come dicono in inglese.

Cosa vorresti dire a chi si vuole approcciare con la propria attività all’includere clienti bipoc e in generale i gruppi minorizzati?

Molti imprenditori si avvalgono della forza lavoro degli immigrati, di soggetti POC e in generale marginalizzati, poi ci sono anche quelli che scartano a priori dalla foto sul CV, quello che gli sfugge penso sia il fatto che (premesso il profilo di interesse sia quello giusto) le persone a cui viene data fiducia di sviluppare i propri talenti con la giusta retribuzione sono risorse più preziose per una azienda e questo non accade finché ci si chiude nella propria xenofobia o pregiudizi. Le persone “diverse” in tutta la loro declinazione hanno sfide in più che le rendono più ricche di contenuto. Non possiamo sapere chi è il collaboratore ottimale finché non valutiamo il contenuto della persona (che siano soggetti POC, i disabili, persone LGBTQ …), fermarsi alla diversità per me è semplicemente auto sabotaggio.
Trovi Semhal e Almaz qui:

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Mi chiamo Sambu. Sono una designer di cambiamento, cioè guido le persone nel processo di costruzione e creazione di un marketing inclusivo con una lente antirazzista.
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